Della Finta Lotta al Riciclaggio e dell’Oppressione Fiscale

Delle norme perniciose, esiziali e liberticide
Dopo aver ragionato sulle crisi fabbricate e sulle perniciose misure d’emergenza che vengono inflitte alle odiate comunità produttive dai ruffiani delle televisioni e dei giornali, analfabeti coperti di milioni, dalle élite delle industrie dei veleni e della guerra, solo per dire scemenze, truffare e terrorizzare senza soluzione di continuità i contribuenti, cornuti e contenti, proviamo ora a riassumere alcuni fatti che riguardano le due tragedie più insistenti in Italia negli ultimi anni: la dittatura dell’Unione Europea e le politiche economiche restrittive (che arrestano la produzione e il consumo in economia). Abbiamo visto che i burattini ai governi degli Stati sono comandati a fabbricare gli stati di crisi e poi a compiere una serie di atti reazionari in risposta a quelle crisi fabbricate. Abbiamo detto che, la sequenza delle manovre restrittive da infliggere, comprendono:

1) imposizione di norme esiziali, perniciose e liberticide,
2) confisca diretta,
3) persecuzione fiscale,
4) inflazione ed inibizione dell’inflazione,
5) controllo dei capitali,
6) controllo di prezzi e retribuzioni,
7) guerre, epidemie, FINTE pandemie, ed altre crisi fabbricate.

Dopo aver digerito la questione delle emergenze, prodotte artificialmente, che offrono le false giustificazioni per imporre le purghe, possiamo spendere un po’ di tempo sulle loro pretestuose misure di contenimento. Purtroppo, le diete e i castighi delle politiche restrittive li conosciamo bene di già, soprattutto conosciamo direttamente le loro conseguenze sulle nostre vite. Proviamo ora a lavorare su qualche dettaglio tecnico, anche se può sembrare noioso, perché, le nuove norme, pur avendo titoli ingannevoli per far sembrare che non influiscano sulla vita delle persone comuni e dei lavoratori onesti, costituiscono l’impianto formale della vostra oppressione.

Dell’imposizione di norme esiziali, perniciose e liberticide
Prendiamo quattro esempi recenti di norme che esprimono il chiaro intento dispotico del legislatore invisibile, chiunque esso sia:

a) reintroduzione della pena di morte;
b) mandato d’arresto europeo;
c) Dlgs 231/2007;
d) Data Retention Act;

a) Della reintroduzione della pena di morte
Le fonti normative sulle quali lavorare per fare questo ragionamento sono:

1) il trattato dell’Unione Europea TEU,
2) il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – TFEU, del quale ho pure la versione inglese; la versione italiana e quella inglese le ho cavate da uno dei siti in rete delle finte istituzioni europee;
3) il trattato di Lisbona, che modifica il TEU di qui sopra,
(se lo si vuole scaricare dalla fonte ufficiale, o nella versione inglese: Treaty of Lisbon, o, se lo si vuole in inglese cavato dalla fonte ufficiale),
4) la Finta Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, (CDFUE), che in Italia pare sia detta pure Carta di Nizza e che io ho cavato dal sito del finto parlamento europeo, della quale ho anche la versione in inglese, che ho cavato dallo stesso sito in rete del finto parlamento europeo,
5) la Finta Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), della quale ho pure la versione in inglese,

(Per confronti e verifiche sulla finta CEDU, vedi pure:
Copia CEDU Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in italiano,
Copia CEDU della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Italiano,
Copia CEDU della stessa finta corte di qui sopra, in inglese)

Gli stati europei non sono sovrani, e questo si sapeva già dal 2008, perlomeno, neppure in senso formale, dopo le ultime ratifiche del Trattato di Lisbona.

Per quanto riguarda il trucco del diritto alla vita e della pena di morte, ovvero alla possibilità legittimata legalmente di ammazzare creature umane – in esecuzione di condanne, per contenere manifestazioni pubbliche non autorizzate, per qualche probabile prossimo caso di inadeguato trascinamento in stato di guerra o anche solo in caso di pericolo di imminente guerra

A) L’Unione riconosce la CDFUE

La Versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea dice, all’art. 6:

Articolo 6, paragrafi 1 e 2
1. L’Unione riconosce (riconosce la CDFUE) i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.

B) L’unione aderisce al trucco della CEDU

2. L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (detta CEDU). Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati.

C) L’unione aderisce al trucco della CEDU anche per il protocollo n. 8

Inoltre il fatto che l’Unione aderisca alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è ribadito anche nel Protocollo n°8 intitolato “relativo all’articolo 6, paragrafo 2 del Trattato sull’Unione Europea sull’adesione dell’unione alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

D) Bisogna poi tener conto dell’Articolo 51 sulla CDFUE

I protocolli e gli allegati ai trattati ne costituiscono parte integrante. Integrata nel Trattato sull’Unione Europea, vi è anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la quale recita:

Articolo 2
Diritto alla vita

1. Ogni individuo ha diritto alla vita.
2. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato.

Ma dice anche:

Articolo 52, paragrafo 3
Portata dei diritti garantiti

3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (detta CEDU), il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. Con questo passaggio di fatto si sancisce la pariteticità tra CDFUE, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e CEDU, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, laddove le due carte trattano gli stessi argomenti. Quest’ultima, la CEDU, a dispetto del nome, presenta diverse contraddizioni che minano completamente le basi precedentemente poste; infatti la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dice:

Articolo 2 – Diritto alla vita
Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto è punito dalla legge con tale pena.

La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:

per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale;
per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;
per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione.

Nota che non esiste una definizione di sommossa o insurrezione. Quindi le forze di polizia si ritrovano ad operare con la massima estensione d’interpretazione; arbitrariamente, possono decidere come distinguere i vari tipi di manifestazioni illegali e come intervenire di conseguenza.

Possono sparare sulla folla.

È incredibile, pare impossibile, eppure è già norma in vigore. Certo, provare a immaginare cosa accade nelle menti corrotte e pervertite che hanno concepito questa normativa è impresa complessa; tuttavia è ragionevole presumere che coloro che l’hanno preparata si aspettino nel breve periodo (poco dopo il 2007) delle agitazioni, del fermento, in conseguenza del crescente impoverimento al quale il continente europeo è indotto dalle spregiudicate e immorali manovre speculative delle stesse “élite al potere”, i padroni delle banche centrali, che manovrano a piacere i fantocci illetterati dei governi e dei parlamenti delle nazioni e che hanno prodotto il concepimento di questa frode legislativa.

Oltre a ciò, aggiunge questo, CEDU, nel sesto protocollo:

PROTOCOLLO N° 6 RELATIVO ALL’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE (STRASBURGO, 28.IV.1983)

Articolo 1 – Abolizione della pena di morte
La pena di morte è abolita. Nessuno può essere condannato a tale pena né giustiziato.

Articolo 2 – Pena di morte in tempo di guerra
Uno Stato può prevedere nella sua legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da questa legislazione e conformemente alle sue disposizioni. Lo Stato comunicherà al Segretario Generale del Consiglio d’Europa le disposizioni rilevanti della legislazione in questione.

La pena di morte è ovunque abolita in tempo di pace, per cui gli Stati che la dovessero prevedere allo stato attuale la devono abolire. Ad ogni modo, nella transizione verso l’abolizione della pena di morte, non infrangono il Trattato di Lisbona (cioè non infrangono la nuova Costituzione Europea, il fondamento normativo al quale devono fare riferimento gli ordinamenti di tutti gli stati membri) se si ritrovano ad ammazzare persone – o se comminano la pena di morte – nei casi previsti dall’articolo 2 del CEDU.

La pena di morte può essere introdotta in “tempo di guerra” o in caso di “pericolo imminente di guerra”. Certo è che, grazie al patto di mutuo soccorso fra gli stati europei in casi di (veri e finti) auto-attentati e simulati attacchi terroristici, una nazione può in un attimo trascinare le altre in stato guerra, o meglio no, in stato di finta guerra; quindi la probabilità che anche la provincia italiana si trovi perennemente in stato di guerra è rilevante.

L’articolo 2 della CEDU permette agli organi incaricati della repressione di sparare su folle di manifestanti impunemente. Qui non si parla neppure di “pena di morte” in senso tecnico ma di ammazzare tranquillamente – e a casaccio – nel mezzo del tumulto. Infine, non vi è alcuna definizione di “ricorso alla forza resosi assolutamente necessario”. Chi decide quando “è necessario” sparare sulle masse di cittadini disarmati in caso di manifestazione? In base a quale criterio? Per esempio, quando non indossano le museruole e si vuole far credere che i “facinorosi” rappresentino una minaccia per la salute pubblica?

Abbiamo visto molto chiaramente con che facilità negli USA le “élite al potere” si siano dotate di una legislazione del finto “antiterrorismo” basata sulla frode, sul delitto e sulla menzogna, che consentiva prima di sospendere la costituzione sul proprio territorio – con il pretesto della finta sicurezza nazionale – e poi di invadere altri paesi ad arbitrio di qualche degenerato capo di stato e per conto delle corporazioni che lo controllano.

Abbiamo visto come sia stato facile entrare in guerra con il pretesto artificiale di esser stati attaccati da presunti terroristi. Con la stessa facilità si avrà il passaggio da uno stato di pace ad uno di guerra – o allo stato di imminente pericolo di guerra – anche in Europa. L’abolizione della pena di morte deve essere assoluta, dichiarata e statuita in modo totale e incondizionato; e per l’abolizione incondizionata della pena di morte l’Italia si è affermata in sede Nazioni Unite; peccato che in casa propria i pupi delegati del parlamento italiano abbiano ratificato un trattato, senza neppure leggerlo, con il quale rinunciavano alla sovranità del popolo italiano, alla sovranità delle proprie istituzioni delegate, alla sovranità della propria costituzione e dei principi sui quali essa è stata articolata.

Questa alienazione di sovranità popolare, con i gravissimi e radicali mutamenti che comporta, si è avuta con un procedimento certamente scorretto in senso formale e sostanziale. La profonda riforma istituzionale che il trattato implica prevede una procedura più articolata e più complessa per la sua approvazione; la maggiore complessità di tale procedura è proprio prevista dalla Costituzione a tutela della Costituzione; ciò è stato stabilito e ordinato proprio per evitare colpi di mano da parte di sciacalli degenerati, forzandoli ad agire seguendo procedimenti legislativi più complessi che li obbligano a dibattere le decisioni proposte con la maggiore parte dei rappresentanti eletti dai cittadini.

b) Del mandato d’arresto europeo
(“27 codici penali per ogni cittadino europeo”)

Del trucco del luogo comune
Subito dopo la tragica frode dell’11 settembre 2001, viene imposto, anche in Italia, il testo di una decisione-quadro (già pronta da tempo) che si presenta fittiziamente come strumento per la “lotta al terrorismo”. Il testo è venduto così, e tanto vale integrarlo anche nella lotta alla criminalità. Se il fine dichiarato di una norma è quello di combattere il male, non si può non essere d’accordo; e così non può non funzionare il trucco del luogo comune. I fini dichiarati, anche se spesso sono inseriti surrettiziamente nei titoli delle stesse norme, possono però non collimare con quelli non dichiarati e, in tutti i casi, non giustificano la trascuratezza, neppure se accidentale, delle leggi fondamentali poste a garanzia dell’ordinamento giuridico. Il luogo comune può trovare applicazione pratica con qualunque altro tipo di formula. Se dico che criminalità e terrorismo sono il male, e che il mandato di cattura è un valido strumento per la lotta alla criminalità e al terrorismo, devo anche dire che ciò che combatte il male è bene; il sillogismo regge, anche in assenza di crisi. Con la stessa logica, posso tranquillamente affermare che la tortura è un ottimo strumento per combattere il “male” e che lo sono anche la pena di morte, il sequestro dei parenti degli inquisisti, le intercettazioni telefoniche di tutta una popolazione, l’accesso sistematico a tutti i conti correnti bancari e così via. Chi conosce la legge deve tener conto anche di altre esigenze. Non si combatte il “male” con un male maggiore, i diritti fondamentali devono restare intatti e la maggiore competenza su questi diritti aiuta il giurista a bilanciare l’esigenza di contrastare il male con quelle della giustizia. Nessun’emergenza e nessuno stato di crisi giustificano la sospensione delle leggi fondamentali del sistema giuridico. Se ci fosse un meccanismo che impedisce ai tiranni di approfittare degli stati di crisi, probabilmente non si avrebbero più neppure gli stati di crisi.

Dei diritti fondamentali
La normativa sul mandato di cattura europeo presenta innumerevoli incompatibilità con la Costituzione dell’Ordinamento delle Repubblica Italiana ma questo è un fatto che pare non interessare a nessuno. Tutta la normativa del m.a.e., nel suo impianto complessivo e nella sua struttura, calpesta diritti fondamentali del cittadino, scardina principi di civiltà giuridica che sono intoccabili. L’iniquità e l’ingiustizia sostanziale di questa normativa stravolge la vita di ciascuno di noi. Il m.a.e. è un’aberrazione giuridica che sotterra principi e garanzie fondamentali. Può colpire chiunque, e perciò colpirà anche parte di quelli che credono nella bontà delle emergenze e delle crisi.

Della censura continentale
A dispetto di quanto affermano i proponenti, sforzandosi di banalizzare il problema, il m.a.e. non garantisce una giustizia internazionale più efficiente: non si tratta di un sistema di estradizione semplificata, ma di una vera e propria “dittatura su base giurisdizionale”, di uno strumento idoneo a punire anche i cosiddetti “reati d’opinione”. Si tratta di una normativa introdotta (ufficialmente) per semplificare il sistema di consegna dei ricercati e condannati tra Paesi europei con finalità di lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata, ma in realtà è perfettamente funzionale all’instaurazione di un sistema di “censura continentale” mediante l’introduzione dei reati d’opinione, di “razzismo” e di “xenofobia”, che nulla c’entrano con la lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata.

Vincenzo Caianiello, ex Presidente della Corte Costituzionale, definisce il m.a.e. una proposta “giacobina”, cioè tesa ad instaurare un clima di terrore istituzionalizzato.

Seria preoccupazione è espressa, tra gli altri, da Ettore Randazzo, Giuseppe Frigo, Giuliano Pisapia, Giuliano Vassalli, Carlo Alberto Agnoli, ed altri autorevoli giuristi.

Della convenzione di Parigi del 1957
È importante osservare come gli effetti dell’istituto si producano non solo nell’ambito del diritto penale processuale e della normativa sull’estradizione (come solitamente si pensa), ma anche a livello di diritto penale sostanziale. Prima dell’imposizione di questa legge, la disciplina dell’estradizione tra i Paesi europei è contenuta nella Convenzione di Parigi del 13 dicembre 1957 ed è contornata da una precisa serie di garanzie per il cittadino, in virtù delle quali la normativa vigente in Italia comporta questi limiti:

– l’estradizione non può mai essere concessa per reati politici;
– non può mai essere concessa per i reati commessi in Italia;
– è sempre rifiutabile se l’estradando è cittadino italiano;
– si può concedere solo se il fatto per il quale è chiesta costituiva reato anche in Italia (principio c.d. della “doppia punibilità”);
– non si può concedere se lo Stato richiedente non assicura che non sarà eseguita la pena di morte;
– l’estradato può essere processato solo per il fatto per cui è stata chiesta l’estradizione e non anche per fatti anteriori (principio c.d. “di specialità”);
– il cittadino consegnato non può essere successivamente estradato dallo Stato richiedente ad altri Stati;
– l’estradizione è concessa solo se sussistevano gravi indizi di colpevolezza;
– non è concessa per i reati tributari, salvo esplicito accordo bilaterale con lo Stato richiedente.

La Convenzione di Parigi contiene inoltre, all’art. 8, la c.d. “clausola di ordine pubblico”, cioè quella clausola (presente in tutte le convenzioni di diritto internazionale privato) che dà facoltà al singolo Stato, in casi ed ipotesi particolari ed eccezionali, a svincolarsi dagli obblighi assunti qualora questi ledano principi fondamentali dello Stato stesso.

Delle garanzie soppresse
Con l’applicazione del m.a.e. tutte queste garanzie vengono meno: la consegna allo Stato richiedente avviene anche per i reati politici, anche per i reati commessi in Italia, anche se la persona interessata è cittadino italiano, anche se il fatto commesso non costituisce reato in Italia (questo per 32 “categorie di reati”), anche senza assicurazione che non verrà eseguita la pena di morte. La persona consegnata può essere giudicata anche per reati anteriori e può essere consegnata anche ad altri Paesi.

Inoltre è esclusa ogni possibilità di sindacato, da parte del Paese che riceve la richiesta, in ordine alla sussistenza di reali indizi di colpevolezza, di cui lo Stato richiedente non deve nemmeno fornire la prova: la richiesta di consegna si limita infatti a contenere solo l’ipotesi di reato e pochi altri requisiti di natura puramente formale. Naturalmente non opera alcuna “clausola di ordine pubblico”. Insomma, la richiesta di m.a.e. produce in modo automatico l’obbligo di consegna, a cui l’autorità giudiziaria dello Stato che riceve la richiesta non può praticamente mai opporsi, tanto che alcuni autori sono stati indotti a definire “notarile” il suo ruolo. Garanzie di secoli di civiltà giuridica sono spazzate via da élite di burattini anonimi, lontani, privi di legittimazione popolare, che opera secondo procedure sconosciute alle collettività produttive. Non solo lo Stato rinuncia alla tutela dei propri cittadini all’estero, ma persino la difesa tecnica (l’“avvocato difensore”) è vanificata, poiché l’automaticità dei meccanismi di consegna del ricercato è tale che, di fatto, non c’è possibilità di difesa; ed infatti l’art. 12 della decisione-quadro non prevede la figura dell’“avvocato difensore” bensì quella del “consulente legale”.

Un’altra parte delicata ed importantissima del nostro sistema processuale penale che il m.a.e. va a stravolgere è quella relativa alla competenza del giudice penale. In base all’art. 25 c. 1 della Costituzione dell’Ordinamento della Repubblica Italiana ed in base all’art. 8 c. 1 del codice di procedura penale italiano, la competenza spetta sempre al giudice del luogo in cui il reato è consumato. Questo viene definito “giudice precostituito dalla legge” e, per evitare abusi, nessuno può essergli distolto. Si tratta di una fondamentale garanzia di giustizia e di civiltà. Secondo la normativa del m.a.e. prevista dalla decisione-quadro comunitaria, invece, chiunque può essere consegnato ad un’autorità giudiziaria straniera anche per fatti commessi nel territorio del Paese di cui è cittadino, cioè può essere consegnato ad un’autorità che non è il giudice precostituito dalla legge. In altre parole, non esiste più un “giudice precostituito dalla legge”, posto che qualsiasi giudice di qualsiasi Paese dell’UE può decidere di essere competente a giudicare chiunque indipendentemente dal luogo di commissione del reato. Con tutto ciò che comporta (ed è facilmente immaginabile) essere processati a migliaia di chilometri da casa, dovendosi difendere in una lingua che non si conosce, in un processo retto da regole che non si conoscono, ecc.

Degli effetti del m.a.e. sul diritto penale sostanziale
(Rendere vigenti ed operative, per ogni cittadino ed all’interno di ogni Stato europeo, tutte le figure di reato, tutte le norme incriminatrici, di ogni altro Stato). La disciplina del m.a.e. impone che, per 32 categorie di reati, la consegna debba avvenire indipendentemente dalla “doppia punibilità”, cioè indipendentemente dalla circostanza che il fatto contestato costituisca reato anche nel Paese ricevente oltre che nel Paese richiedente; cioè, il cittadino del Paese X verrà consegnato all’autorità giudiziaria del Paese Y che lo processerà per un fatto che costituisce reato nell’ordinamento del Paese Y ma non costituisce reato nell’ordinamento del suo Paese di appartenenza, e quindi – in ipotesi – per un fatto che egli (non conoscendo a memoria 27 codici penali…) non può nemmeno immaginare che un altro Paese dell’UE consideri reato. E si è tentato di banalizzare persino questo aspetto, affermando che il principio della “doppia punibilità” sarebbe superato dalla sostanziale omogeneità tra le legislazioni penali dei diversi Paesi, per cui, in buona sostanza, ciò che è reato in uno lo sarebbe anche negli altri. Questa affermazione è semplicemente falsa. Senza scomodare le legislazioni di Paesi candidati a divenire membri dell’UE, quali Israele o la Turchia, la cui tradizione e cultura penalistica è incompatibile con la nostra, possiamo osservare differenze di normativa anche considerando Paesi a più vicini, culturalmente, all’Italia. I casi più evidenti sono quelli di reati come l’aborto, l’eutanasia o il consumo personale di stupefacenti, ma si riscontrano differenze importanti anche nella parte generale del diritto penale: ad esempio, in Francia, in Germania ed in Spagna il concorso di persone nel reato è disciplinato in modo sostanzialmente difforme rispetto all’Italia, oppure ancora il diritto polacco prevede per il delitto tentato la medesima pena prevista per il delitto consumato, e così via. Lo sconcertante effetto prodotto dal m.a.e. sul diritto penale sostanziale è, dunque, quello di rendere vigenti ed operative, per ogni cittadino ed all’interno di ogni Paese europeo, tutte le figure di reato, tutte le norme incriminatrici di ogni altro Paese.

Dello psico-reato
Tra le 32 categorie di reati per cui è escluso il principio della “doppia punibilità”, ce n’è una che viene definita con l’etichetta “razzismo e xenofobia”. Questa categoria di reati raccoglie le varie “leggi antidiscriminatorie” (meglio note come “leggi liberticide”) di cui ogni Stato europeo ha provveduto a munirsi; in Italia c’è la legge Mancino del 1993. Sono quelle leggi che, promulgate con il pretesto ipocrita di difendere talune minoranze, sanciscono progressivamente la morte della libertà di parola, di opinione, di pensiero. Tra queste leggi vi sono importanti differenze sia in merito alla definizione di ciò che è reato, sia in merito alla quantificazione delle pene; sono differenze destinate a scomparire con la progressiva applicazione della decisione-quadro del 2008 sulla “lotta mediante il diritto penale del razzismo e della xenofobia”. In attesa di questa equiparazione, il m.a.e. estende a tutti i Paesi membri i reati di opinione. Nei suoi atti ufficiali, l’Unione Europea dichiara esplicitamente di voler criminalizzare la propaganda delle idee e anche i “convincimenti”, cioè le idee in sé e per sé: ecco introdotto il reato di pensiero, lo psico- reato.

Degli arrestati per reati d’opinione, anche prima del mae
Questa normativa si rivela già uno strumento docile, efficace ed efficiente, producendo (nel più assoluto ed agghiacciante silenzio dei media) l’arresto di studiosi, intellettuali rei di “reati di pensiero”. Particolarmente eclatante il caso dello storico Fredrick Toeben, arrestato in Inghilterra a seguito di richiesta di consegna proveniente dalla Germania per avere espresso idee che costituiscono reato in Germania e non in Inghilterra. Solo sulla base di questo esempio, dei libri illegali in Germania e in Francia, in Europa, ma anche nelle Americhe, sono stati arrestati parecchi ricercatori, storici, che non sono più liberi di pubblicare i loro libri negli Stati europei, e nemmeno di rilasciare interviste o scrivere articoli o dare lezioni che abbiano per oggetto le loro considerazioni bandite in alcuni Stati europei; alcuni di essi sono:

Georges Theil,
Jurgen Graf,
Paul Rassinier,
Siegfried Verbeke,
Ernst Zundel,
German Rudolph,
David Irving,
Robert Faurisson,
Bernard Lewis,
Thies Christophersen,
Wilhelm Staglich (magistrato),
Gunther Deckert,
Udo Walendy,
Ditlieb Felderer,
Cesare Saletta,
David Cole,
Israel Shamir,
Manfred Roder,
Tiiudar Rudolf,
Jurgen Rieger (avvocato),
Ahmed Rami,
Hans Christian Pedersen,
Hans Schmidt,
Friedrich Toben,
Wigbert Grabert,
Rene Louis Berclaz,
Roger Garaudy,
Eric Delcroix (giurista, condannato per aver criticato la legge Fabius-Gayssot),
Bernard Notin.

Tra questi arresti, molti si hanno anche in assenza del mandato di cattura europeo. La maggior parte di questi ricercatori, se non tutti, dichiarando pubblicamente le conclusioni dei loro studi, hanno commesso dei reati specifici, riferiti ad un determinato argomento e soprattutto a quello. Da ciò si cava che, per il momento, determinati psico-reati incontrano una maggiore efficienza repressiva rispetto ad altri. E il caso vuole pure che talune giurisdizioni siano in generale più produttive di altre, in rapporto alla persecuzione di certi delitti. Quando sono vigenti norme liberticide, un sistema lento, può rallentare il processo di repressione e divenire paradossalmente vantaggioso per le libertà individuali; in virtù del mandato d’arresto europeo, la Germania, nel 2004, emette 1300 richieste d’arresto ad altri Stati europei; l’Italia, più lenta, nel 2004 fa poco e niente, nel 2005 ne richiede 121 e ne riceve 69. La differenza tra le due capacità operative si traduce in aumento di spazi di libertà possibile per i cittadini.

Delle 32 categorie di delitti e dei poteri punitivi
Il fatto di rendere vigenti ed operative, per ogni cittadino ed all’interno di ogni Stato europeo, tutte le figure di reato, tutte le norme incriminatrici, di ogni altro Stato europeo, amplia in modo smodato il potere repressivo del giudice inquisitore. Un aguzzino qualunque, che abbia la sorte di essere magistrato in un qualunque Stato europeo, scegliendo a caso una norma qualunque, può far arrestare un cittadino qualunque. Se non lo incrimina per un reato, può sceglierne un altro; la rosa dei delitti per i quali si può punire è ampliata dalla moltiplicazione esponenziale dei delitti e delle pene, avendo integrato tutte le norme penali e tutte le pene di tutti i 27 codici penali europei. Una seconda manovra legislativa che produce la stessa conseguenza, l’ampliamento della rosa dei delitti e delle pene con le quali far sparire uno o più determinati cittadini che non commettono reati, è quella di consentire la persecuzione anche per atti compiuti in epoche anteriori rispetto a quella di un determinato reato erroneamente contestato. Una terza manovra legislativa che serve a rendere quasi illimitato il potere punitivo dell’inquisitore è la semplice tecnica di usare espressioni vaghe e generiche invece di individuare e delineare precisamente quali atti specifici indesiderati s’intende perseguire con l’azione penale. Le 32 categorie di reati, in base alla disciplina del mandato di cattura europeo, vengono indicate soltanto con una “etichetta” (ad es. “razzismo e xenofobia”), che è inidonea ad individuare le precise fattispecie normative penalmente perseguibili, con la conseguenza che si è in presenza di una fattispecie normativa, non soltanto ignota, ma anche “ricostruibile” in modi diversissimi in base all’interpretazione che il singolo giudice vorrà darne non essendo egli vincolato ad una definizione precisa. Questa estrema incertezza della legge non è casuale, pare evidentemente finalizzata ad attribuire al giudice un enorme potere discrezionale e ricorda il ben collaudato e famigerato art. 58 del codice penale sovietico del 1926, di cui parla Solzenicyn, tanto vago ed indefinito da consentire l’arresto e la deportazione di chiunque fosse sospettato (bastava un sospetto) di attività dannosa per l’economia e la rivoluzione”. Il principio del sospetto come base sufficiente per la persecuzione viene poi ripreso nel DLgs 231/2007 che vediamo più avanti. C’è un interessante parallelo fra il nuovo assetto normativo europeo e quello degli Stati Uniti d’America: la ricerca di genericità nella manipolazione del diritto penale, e la ricerca di aggregazione fra macedonie di codici differenti, anche di codici che appartengono a terre e culture lontane. È importante osservare gli Stati Uniti, per tentare di comprendere ciò che sta accadendo, e perché la commedia dell’undici settembre inizia proprio lì. Ci sono forze che lavorano per far ripetere in Europa, a distanza di 5-10 anni, gli stessi eventi che soffocano le popolazioni americane.

Genericità e aggregazione di codici
La voluta genericità dell’art. 58 del codice penale sovietico del 1926 e la citazione di Lenin, quando scrive: “la giustizia non deve eliminare il terrore…occorre formulare con la massima ampiezza possibile….la sua applicazione di fatto dipende dalla coscienza rivoluzionaria” riflettono principi introdotti nei sistemi normativi, ciclicamente, dalle stesse famiglie che controllano gli Stati di allora, che finanziano e propagandano le ideologie e le dottrine dominanti di allora, e che ancora li controllano adesso; la ripresa di tali principi non è casuale e li ricalca volutamente, anche se non possiamo sapere quale sia l’obiettivo finale di un sistema totalitario repressivo che, pur eliminando intere generazioni, per la sua natura ostile all’accrescimento economico delle Nazioni, deve essere sempre transitorio. Sappiamo che dopo il trattato di Lisbona sono stati dati poteri straordinari alle polizie nella gestione delle sommosse e dei disordini sociali (previsti prima di fare iniziare la frode finanziaria che innesca la crisi economica), e possiamo dire prudentemente che, se a un poliziotto parte qualche colpo di pistola durante una manifestazione, egli non è punito neppure in senso astratto dalla legge. Sappiamo che, un soggetto sospettato o accusato astrattamente di “terrorismo”, perde automaticamente tutti i suoi diritti civili e può essere arrestato, deportato, torturato, tenuto in isolamento indefinitamente, eccetera.

La definizione (poi ridefinita ed ulteriormente estesa dal “patriot act“) che dà la legge su ciò che intende per “terrorismo” è talmente grossolana e generica che chiunque può essere accusato. Tanto è vero che le liste nere dei soggetti da tenere sotto controllo degli organi del terrore di Stato (FBI, CIA, NSA, servizi segreti e l’apparato militare che ormai presidia molte aree direttamente, Mi5, Mi6 e quant’altro, che ricalca le stesse logiche nel Regno Unito) comprendono gli attivisti del Tea Party, le dimostrazioni degli occupy movement, i cittadini che fanno scorte alimentari per più di 7 giorni, i cittadini che pagano l’albergo usando contanti, i sostenitori di Ron Paul che danno in giro i suoi adesivi, i possessori di metalli preziosi, i possessori di armi da fuoco o munizioni (a onta del secondo emendamento della Carta Costituzionale statunitense) e questi sono solo pochi esempi. Sono solo liste, di soggetti da tenere sott’occhio, niente di tanto melodrammatico. Ma la pazzia non finisce qui. Le forze di repressione elencate di sopra si preparano a reprimere possibili “sommosse” o dimostrazioni di dissenso collettivo d’altro tipo, acquistando un miliardo e seicento milioni di cartucce per combattere una guerra interna, delle quali 360 mila sono di tipo esplosivo e sono vietate anche in guerra da tutte le convenzioni internazionali; per questo l’Homeland Security è sotto una sorta d’inchiesta. Il dramma del mandato d’arresto europeo s’incastra in una tragedia più grande.

Del numero smodato delle norme del diritto penale nei codici aggregati
Nel 1998, un giudice della corte suprema della federazione statunitense, Justice Breyer, fa presente che:

“la complessità della moderna legislazione penale comprende diverse migliaia di sezioni del codice penale e un’infinita varietà di circostanze fattuali che possono innescare un’investigazione sulla possibile violazione di una norma federale; tutto ciò rende molto difficile per chiunque il comprendere quando una proposizione offerta sia o non sia rilevante per una possibile incriminazione o per un’investigazione.”

In uno studio meno compulsivo di Paul Rosenzweig; in sintesi, si sostiene che, il congresso statunitense ha fatto poco sforzo di contenimento quando ha inteso estendere la portata del diritto penale federale agli innumerevoli altri ambiti di regolamentazione. Il Congress of Research Service ha perso il conto dei delitti previsti dal codice penale “aggregato”. L’American Bar Association ha riferito che nel 1998 sono stati individuati oltre 3300 delitti in più. Più del 40% delle relative leggi, che prevedono l’intervento dell’azione penale, sono state emanate solo negli ultimi 30 anni e sono disperse in 50 titoli distribuiti su 27 mila pagine. E se questo non basta, le sezioni del codice incorporano spesso, per riferimento, disposizioni e sanzioni cavate da regolamenti amministrativi emanati da varie altre agenzie; cioè, almeno diecimila nuovi regolamenti che contengono sanzioni penali. L’esigenza dell’intensificazione di produzione normativa penale soddisfa considerazioni politiche e non tecniche. Ci sono 10,000 regolamenti amministrativi presi a riferimento da altri codici, compresi nel codice penale statunitense, che rendono difficile anche per il procuratore la scelta di quali e quanti delitti siano da attribuire all’accusato.

                                                  

The Lacey Act (18 USC 4216 USC 3371-3378)
Prendiamo l’esempio del: The Lacey Act (18 USC 4216 USC 3371-3378); una sezione di questa norma statuisce che:

“È illegale, per qualsiasi persona, importare, esportare, trasportare, vendere, ricevere, acquistare, possedere pesci, fauna selvatica, piante, possedute, trasportate o vendute in violazione di qualsiasi legge Federale statunitense, di qualsiasi legge, regolamento o trattato di uno Stato straniero, o indiana, o tribale.”

Taluni viaggiatori sono stati condannati a sanzioni penali da corti federali statunitensi per aver violato questa norma, per aver cioè avuto con sé delle aragoste, per esempio, importate dall’Honduras, senza sapere che la legge in Honduras non consente l’acquisto, l’appropriazione o il trasporto di aragoste onduregne. Non rileva affatto se le aragoste sono vive o morte, se sono morte per causa naturale o se sono state soppresse, e non si può far valere la legittima difesa. Il fatto sta che se si viene fermati con delle aragoste dell’Honduras negli Stati Uniti d’America, si può essere arrestati a causa del meccanismo d’incorporazione di una norma che si trova nel codice penale onduregno e cioè di uno dei diecimila regolamenti che possono essere fatti valere negli Stati Uniti pur appartenendo ai codici d’altre Nazioni, Stati, Territori e Giurisdizioni. Oltre al disposto sulle aragoste onduregne, e in aggiunta alle innumerevoli norme penali vigenti nel territorio degli Stati Uniti, gli inquisitori dispongono di almeno altre 9999 norme estere per incriminare liberi cittadini di delitti che travalicano l’immaginazione più vivace. Ecco perché è megliio non parlare mai con persone della polizia, in nessuna circostanza e in nessuna maniera; qualunque cosa si dice può essere usata, e verrà usata, contro quello che l’ha detta.

Dell’ignoranza dinamica e dell’ignoranza statica
Oggi nessuno può dire di non aver fatto nulla d’illegale, perché nessuno sa cosa configuri un delitto e cosa non lo configuri. L’ignoranza dinamica, imposta dalle élite al potere per confondere e ingrassare con più delitti e con più pene i codici penali delle nazioni europee, si aggiunge all’ignoranza statica dell’italiano medio che non ha mai neppure voluto leggersi la vituperata Costituzione del proprio ordinamento. E l’insieme dei delitti possibili si ingrassa negli anni recenti affinché vengano ridotte in minimi termini le garanzie per i cittadini ed aumentate esponenzialmente le prerogative inquisitorie degli organi di polizia – sia nazionale che non – giudiziaria, militare, carceraria, finanziaria, forestale e quant’altro. Un esempio di questa obesità forzatamente indotta dei codici penali si cava dal mandato d’arresto europeo.

Di ciò che resta funzionale alla soppressione
La normativa del m.a.e. si palesa funzionale alla soppressione delle voci non conformi e ai perseguitati d’ogni tipo, a livello internazionale, andando di pari passo con le leggi liberticide nazionali, contro le quali nulla hanno potuto le ripetute ed autorevoli proteste di giuristi ed intellettuali. Si ha dunque la produzione di norme penali da parte dell’UE. Questo potere l’UE se l’è arbitrariamente auto-attribuito, dimostrando quanto fosse una tragica burla anche tutto l’impianto delle democrazie costituzionali imposte in Europa dopo l’invasione delle forze armate statunitensi, alla fine della seconda guerra mondiale.

Dell’auto-attribuzione dei poteri dell’unione europea
Sull’argomento dell’auto-attribuzione di poteri da parte dell’UE merita spendere qualche parola, sia pure nell’impossibilità di approfondire un tema (sconosciuto) che è probabilmente uno dei più delicati della nostra epoca. Nel diritto internazionale vige il “principio di attribuzione”, adottato anche nel Trattato sull’UE (v. art. 5), per il quale la competenza normativa degli enti non statali esiste in quanto sia espressamente attribuita loro dagli Stati aderenti. L’Unione si fa beffe di questo principio e decide autonomamente i propri poteri. Questo accade già da un cinquantennio. Le prime due sentenze della Corte di Giustizia che hanno avviato questo ciclo sono: la sentenza Van Gend & Loos del 1963 e la sentenza Costa/Enel del 1964. Con la prima, la Corte ha introdotto il principio dell’effetto diretto del diritto comunitario negli Stati membri, in virtù del quale le norme comunitarie sono direttamente ed immediatamente efficaci e vincolanti non solo per i Paesi membri, ma anche per i singoli cittadini. In realtà, giammai gli atti normativi di un semplice ente sovranazionale potrebbero produrre effetti anche per i cittadini anziché solo per i Paesi membri. Con la seconda, la Corte ha sancito il primato del diritto comunitario sulla normativa interna (cioè, in caso di contrasto tra norma interna e norma comunitaria, prevale in automatico quest’ultima). Come giustifica e motiva la Corte queste straordinarie invasioni nella vita dei cittadini europei? Non è rinvenibile alcun atto dei Paesi membri che conferisce alla Comunità (ora Unione) questi poteri: la Corte decide arbitrariamente e senza alcun supporto di precedenti atti che giustifichino la decisione, creando da sé, in tal modo, nuovi poteri dell’Unione. Venendo ad anni a noi più vicini, e ritornando così al tema del m.a.e., come dicevamo si assiste all’auto-attribuzione di competenza in materia penale attuatasi con tale decisione-quadro, nonché con altri atti dell’Unione, tra cui, in particolare, la sentenza 13.9.2005 della Corte di Giustizia. Le norme penali, essendo per loro natura potenzialmente le più invasive ed incisive sui diritti fondamentali dei cittadini, si crede che debbano essere promulgate solo dalla assemblee parlamentari democraticamente elette, ed infatti così è sancito dall’art. 25 c. 2 della Costituzione italiana (riserva di legge in materia penale). Ovviamente l’Unione è ben consapevole che la riserva di legge è espressione della sovranità dello Stato, dell’affermazione della sua autodeterminazione in tema di diritti fondamentali e di limitazione degli stessi: un altro principio ribaltato senza difficoltà, un altro potere che l’UE si auto-attribuisce senza troppi problemi. Negli anni successivi questo processo non si è arrestato, ed ha trovato ulteriore espressione – ad esempio – nell’estensione al settore penale della regola della “interpretazione conforme al diritto comunitario” (per la quale la legge penale nazionale deve essere interpretata conformemente all’atto comunitario da cui trae origine, così producendo, di fatto, la diretta applicazione di quest’ultimo all’interno del singolo Paese). Ormai in dottrina si parla del “riavvicinamento”, ad opera dell’UE, delle legislazioni nazionali in materia penale, come di un percorso acquisito, non problematico e non più in discussione: cioè si accetta pacificamente che la potestà legislativa penale sia monopolizzata dall’UE, la quale decide il contenuto delle leggi penali dei Paesi membri. Nell’Unione Europea, la potestà normativa risiede fondamentalmente in organi (il Consiglio e la Commissione europea, attraverso cui opera un’oligarchia autoreferenziale) privi di rappresentatività democratica. Gli organi europei vivono di vita autonoma prescindendo dai singoli Stati e si auto-attribuiscono poteri e facoltà. C’è una reazione a tutto questo. C’è una sentenza della Corte costituzionale tedesca del 30 giugno 2009. Questa sentenza, nota come Lissabon Urteil, cerca di arrestare l’azione europeista.

Del caso di Gottfrid Svartholm Warg
Gottfrid Svartholm Warg è un giovane programmatore di computer, che si trova imprigionato in Danimarca, detenuto in isolamento, in base ad una procedura punitiva originata non si sa da quale procedimento e non si sa bene da chi. Non ci sono ragioni legali per tenerlo in isolamento. Non si sa chi ha preso la decisione; l’organo giudiziario inquirente non lo ha deciso e il suo avvocato non riesce a risalire ai fatti per poter quantomeno intervenire sulle misure restrittive. Il giovane è conosciuto per aver contribuito a progettare un sito web dal quale si potevano condividere film e musica peer-to-peer, che si chiama Pirate bay. Non si capisce perché sia in isolamento, né perché sia detenuto; il cosiddetto “prison service” lo ha in custodia e non ci sono ordini da parte dell’autorità giudiziaria di tenerlo in isolamento. Eppure ci è e il suo avvocato non può né sapere perché e né, tantomeno, parlare con lui o dirgli se, come e quando, potranno mandare ad effetto una qualche azione di difesa. E i fatti strani non sono mica tutti qui. Il giovane malcapitato, è stato preso in Cambogia, nell’agosto 2012. Estradato in Svezia, prima, e ora detenuto in Danimarca. È interessante anche notare la sollecitudine e la semplificazione della procedura di estradizione. Dalla Cambogia, siamo abituati ad osservare, non è facile, normalmente, per le corti in occidente, far estradare persone accusate di reati anche molto gravi e per questi ricercati in patria. Eppure, per un puerile caso di presunta violazione di pretese “norme” sui diritti d’autore, un povero viandante in cerca di tranquillità in Cambogia viene immediatamente accompagnato agli imbarchi e rispedito in Europa, dove è subito ricevuto e trattato come un pericolosissimo criminale. Secondo il “The Cambodia news“, un mandato di cattura internazionale è stato emesso – probabilmente dall’autorità giudiziaria svedese che l’avrebbe condannato ad un anno per la questione dei diritti d’autore – ad inizio anno 2012 a carico dello sventurato giovane sviluppatore, che è stato arrestato a Phnom Penh.

c) Del DLgs N. 231 del 2007
Dopo aver mandato ad effetto la frode dell’undici settembre 2001, la dittatura statunitense e quella europea impongono un sistema normativo che limita le libertà individuali e i diritti civili di tutti i cittadini (non privilegiati) in occidente. Però, in Italia come in altre Nazioni, la legge fondamentale dello Stato impone limiti precisi all’attività repressiva dei burattini al potere. Prima che altrove, questi limiti sono indicati nella Costituzione dell’Ordinamento della Repubblica, la legge suprema, rigida, a fondamento di tutte le altre leggi. Chi vuole adottare comportamenti dispotici, tuttavia, può farlo usando un trucco molto semplice e assai poco originale. La trovata è quella di scavalcare i limiti procedurali imposti dalla legge, strumentalizzando termini che appartengono alle situazioni di emergenza.

Dal principio del 1900, tutta la propaganda liberticida dell’occidente continua a ripetere ed erodere formule simili a queste: “guerra alla criminalità organizzata” e “lotta al terrorismo“. Ma “Criminalità organizzata” e “terrorismo” sono fantasmi, sono costruzioni ideologiche che servono a fabbricare gli stati di crisi. Non esiste alcuna “criminalità organizzata” e non c’è alcun “terrorismo” senza la complice, intenzionale, consapevole e premeditata partecipazione dello “Stato” o di chi controlla gli enti di Stato.

Dell’oppressione fiscale e del controllo dei capitali
Il D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 è un altro esempio palese di come si prendono a pretesto quei termini generici, per scavalcare i limiti stabiliti dalla legge ed imporre la repressione. Oltre che ad eludere la legge, la pratica di strumentalizzare termini generici suggestivi (criminalità organizzata e terrorismo) serve ad aumentare la confusione. e ad alimentare un permanente stato d’inquietudine. Per giunta, essa consente di dare definizioni diverse su comportamenti già molto ben individuati dalle leggi vigenti. Le nuove leggi danno definizioni arbitrarie ed improprie su quali comportamenti fanno rientrare fra quelli perseguiti e vi fanno rientrare tutti i casi possibili ed immaginabili. Questa impostazione della norma, consente agli aguzzini di colpire chiunque. E però il cittadino non se ne accorge, perché, sentendo dire, o leggendo sui giornali, che viene approvato un decreto legge per ostacolare il finanziamento al “terrorismo” e il riciclaggio di denaro della “criminalità organizzata”, egli pensa che la questione sia giusta, doverosa, e che, soprattutto, non lo riguardi. Cosa può avere a che fare, un contribuente normale, con la criminalità organizzata? E con il terrorismo? Nulla, si tratta di fenomeni lontanissimi dalla sua dimensione. Il termine enfatico “riciclaggio” richiama poi la scena cinematografica di quel famoso film di Brian De Palma, titolato “Scarface“, con Al Pacino, in Florida, che scarica nell’ufficio del direttore di banca enormi sacchi di dollari americani, incamerati con la vendita all’ingrosso di cocaina purissima. Nella drammatica realtà di decreti come il 231/2007, i reati previsti integrano comportamenti assai meno rilevanti di quelli di Al Pacino in Scarface. Per un esempio, il lavoratore onesto che “compra casa” utilizzando denari che, per qualche ragione, sono miracolosamente sottratti all’estorsione dell’erario, può essere sospettato di reimpiegare, di immettere, investire in attività lecite, fondi frutto di attività delittuose; se poi intesta quella casa a un parente, o a un’amica, la sua situazione si complica in modo anche più pericoloso.

Dei confidenti di questura forzati
Questo nuovo sistema di norme e di pensiero, comporta un fatto tanto assurdo quanto inosservato: come negli anni più disperati della dittatura di Stalin in Russia e Mao Zedong in Cina comunista, in Italia, ai giorni nostri, tutti gli avvocati, i commercialisti, gli intermediari finanziari di qualunque genere e natura, i consulenti fiscali, gli impiegati della banca, delle poste e dei centri elaborazione paghe, gli allibratori, i raccoglitori di scommesse per le corse dei cani, gli assicuratori e una interminabile lista di altri operatori economici, sono stati trasformati in confidenti di questura obbligati. L’infausto decreto legge numero 231 del 2007, obbliga infatti, con la previsione di gravi sanzioni panali per chi non si attiene, i professionisti a violare il dovere di segretezza e riservatezza, a spiare l’attività dei loro clienti e a segnalare, anonimamente, qualunque loro comportamento “sospetto”. Segnalare, quindi, non solo eventuali comportamenti illeciti, ma anche quelli che potrebbero suscitare dubbi e sospetti di qualunque natura, come vediamo in quell’esempio del lavoratore autonomo che compra l’auto a un’amante o intesta un nuovo appartamento alla moglie o alla figlia.

Dell’oppressione fiscale e della finta lotta al riciclaggio
Le norme repressive sostengono e promuovono l’estorsione fiscale. È poco rilevante osservare che la polizia postale viola la legge sulla privacy (e il diritto costituzionale) spulciando i dati personali degli utenti festosi dai cosiddetti social network; c’è di peggio: la guardia di finanza ha accesso in tempo reale ai conti correnti bancari di tutti gli italiani, e non ha più bisogno di un mandato dell’autorità giudiziaria per esaminarli. Dato che la politica fiscale è una delle due leve fondamentali della politica economica di uno Stato, e, visto che le politiche restrittive servono a strozzare l’economia di quello Stato, l’oppressione fiscale è, assieme alla politica monetaria deflativa, il metodo più efficace per impoverire un territorio. Gli aguzzini che praticano la persecuzione fiscale, oggi possono perquisire, liberamente, anche gli uffici dei commercialisti, degli avvocati, delle agenzie d’intermediazione, dei consulenti del lavoro e di qualunque altro ente che collabori nella gestione di un’impresa. In questi anni tristi, assistiamo impassibili a casi in cui gli avvocati pavidi sono chiamati a testimoniare, e testimoniano, contro i loro stessi clienti in tribunale, altri in cui i loro clienti vengono arrestati proprio nel loro studio legale e alle conferenze di taluni ordini professionali, come il consiglio dell’ordine degli avvocati di Modena, che impartiscono corsi di deontologia durante i quali raccomandano e promuovono (istigando gli avvocati a compiere delitti) tutte quelle pratiche di delazione dei propri clienti che sono simmetricamente contrarie ai principi più basilari del codice deontologico forense

(Vedi: il Convegno vergognoso del 6 ottobre 2011, organizzato dal CONSIGLIO DELL’ ORDINE AVVOCATI DI MODENA, FONDAZIONE FORENSE MODENESE, presiede: Avv. UBER TREVISI; relatori: Ten. Col. CARLO TOMASSINI della Guardia di Finanza, Avv. STEFANO ZIRONI avvocato in Modena, Avv. DANIELA GOLDONI avvocato in Modena).

Ma come fa, un Avvocato, a dare consulenza al suo cliente e dipoi, senza dirglielo, a segnalarlo all’autorità giudiziaria? Come può un avvocato diventare segretamente confidente di questura? Le istruzioni vengono date pubblicamente, nel convegno, iscritto nel corso di deontologia per avvocati (pavidi), tenuto Il 6 ottobre 2011 dal Consiglio dell’ordine avvocati di Modena, in cui si danno disposizioni obbligatorie affinché avvocati e commercialisti commettano reiteratamente delitti (ai sensi dell’art. 622 del codice penale) e violazioni degli obblighi deontologici e morali. Ai sensi della normativa che si cava dal Dlgs. 231/2007 e dalle successive modifiche, usando a pretesto gli abituali feticci della lotta alla criminalità organizzata e al finanziamento del terrorismo, vengono inflitte, agli operosi contribuenti, altre norme reazionarie e liberticide, contro i diritti costituzionali di riservatezza e segretezza; norme repressive delle economie e delle attività umane in generale.

Avvocati, commercialisti e mediatori finanziari di ogni tipo, devono inviare alla UIF la segnalazione di un’operazione “sospetta” quando

“sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso, o che siano state compiute, o tentate, operazioni di riciclaggio o finanziamento del terrorismo”.

             

La spiata dei confidenti di questura viene fatta ancora prima che si commetta una violazione; è infatti sufficiente, e obbligatorio, secondo la tradizione stalinista e della Cina rivoluzionaria di Mao, far basare la spiata sulla sensazione, l’idea, il sospetto, o, in assenza di sospetto, sulla presunzione che sussista comunque un “motivo ragionevole per sospettare” anche qualora non si sospetti…Dato che si parla di finanziamento del terrorismo e di riciclaggio, nessuno si sente chiamato in causa, perché di terrorismo e riciclaggio si ha un’idea diversa di quella svelata nel decreto. Se però uno se lo va a leggere (vedi fra le fonti addotte a questo lavoro) nota che esso dà definizioni sue proprie dei termini, ai soli fini dello stesso decreto, arbitrarie, per nulla coerenti con quelle già previste dal codice penale, e fa rientrare, forzosamente, in queste sue definizioni, le casistiche più varie e disomogenee che la creatività umana potrebbe evocare.

Delle modalità operative del decreto legislativo 231/2007

1) La nozione di riciclaggio contenuta nel decreto è diversa rispetto alla concezione penalistica in materia di ricettazione, riciclaggio, reimpiego di denaro e trasferimento fraudolento di valori. Il decreto dà una definizione autonoma.

2) Gli obblighi di adeguata verifica e di registrazione della clientela sono sanzionati penalmente.

3) Obbligo di segnalazione delle operazioni “sospette”.

Art. 2. Definizioni (arbitrarie autonome)

L’articolo 2 del decreto dà un lunghissimo elenco di comportamenti che fa rientrare nella fattispecie punibile penalmente che, come dicevamo di sopra, sono spesso diversi rispetto a quegli atti che persegue il codice penale.

Dell’interpretazione arbitraria e fraudolenta del concetto di Riciclaggio
Nella definizione di riciclaggio, il decreto fa rientrare, oltre ai comportamenti definiti nell’art. 648bis e 648ter del codice penale, anche l’ipotesi di ricettazione, e quindi l’art. 648 c.p., tutte le possibili ipotesi di tentativo e di concorso, alcune condotte che non sono propriamente di concorso nel reato secondo la nozione del codice penale, e porta differenze rilevanti anche nelle definizioni di comportamenti criminali indicati nell’articolo 2.

La ricezione di bene o denaro provento di delitto è l’oggetto della nozione perseguite dal codice penale (nel caso di ricettazione, acquisito per profitto, nel caso di riciclaggio, trasferito o se ne dissimula la provenienza, nel caso dell’impiego in attività economica, è la finalità specifica che lo caratterizza rispetto al riciclaggio). Per ciascuna di queste ipotesi vi è un rapporto di specialità progressiva, cioè, dove si applica una non si applica l’altra. L’art. 12quinquies, L. 356 del 1992, riguarda l’ipotesi di trasferimento fraudolento di valori, come l’intestazione fittizia di un bene a parenti o amiche/amici.

Tutte queste ipotesi sono ricomprese nell’articolo 2 del decreto. Ai fini della definizione autonoma che ne dà il decreto 231, il riciclaggio è tutte queste cose e, ai punti a, b, c, d, richiama quei comportamenti perseguiti anche dal codice penale.

Ma, dicevamo che la “nozione” fabbricata dal legislatore-usurpatore è molto più ampia, infatti:

– il delitto presupposto può anche essere una contravvenzione (la portata della norma è già qui ampliata in modo molto significativo);

– l’accertamento dell’elemento soggettivo, al comma tre del comma due si dice: “La conoscenza, l’intenzione o la finalità, che debbono costituire un elemento degli atti di cui al comma 1, possono essere dedotte da circostanze di fatto obiettive”;

– non è necessaria una sentenza di condanna che accerti il reato presupposto; è sufficiente che vi siano degli elementi che potrebbero far ritenere che sia eventualmente possibile che sussistano delle ragioni per sospettare;

– l’auto-riciclaggio, in un modo o in un altro, viene fatto rientrare nella fattispecie.

Art. 55. Sanzioni penali
L’articolo 55 specifica le sanzioni penali da infliggere ai professionisti, avvocati, commercialisti, e alle altre categorie di operatori economici, che si dimenticano di registrare tutti i dati identificativi di tutti i loro clienti e di annotare diligentemente tutte le loro operazioni economiche e tutte le variazioni dei loro cespiti. La normativa “anti-riciclaggio” subisce integrazioni e modifiche fino al 2009; e con l’ultima si estende l’ambito di applicazione, comprendendo i CAF, le associazioni degli imprenditori ed altri; ma l’impianto di base della normativa rimane il decreto 231 del 2007; i notai e gli avvocati devono capire, usando l’art. 12, al punto C, ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5, se si trovano nell’ambito dell’applicazione della normativa. Non è che ci voglia tanto a comprendere se si rientra oppure no, il punto C parla di “qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare compiuta in nome o per conto dei propri clienti..” e poi, aggiunge alcuni esempi specifici:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Del Fascicolo del cliente

A) Quale il cliente che deve essere sempre schedato (articolo 16, obblighi di adeguata verifica della clientela…)

Il contratto di locazione rientra certamente nell’ambito di applicazione della normativa. L’avvocato che redige il contratto di locazione, che supera i 15,000 euro di valore (art. 16, primo comma, punti a, b, c, d, e) deve identificare il cliente e registrare la sua operazione in un fascicolo particolare per quel cliente. In quel fascicolo, l’avvocato raccoglie tutti i dati personali del cliente, tutti i suoi documenti d’identificazione, e deve registrare anche i fatti dell’osservazione e del monitoraggio di tutte le attività e di tutte le sue condotte professionali, commerciali e imprenditoriali.

B) Quale è il cliente che deve essere segnalato all’autorità giudiziaria

In base all’articolo 41 del DLgs 231 del 2007, avvocati, notai, commercialisti e tutti gli altri operatori economici e finanziari, devono spiare e segnalare i loro clienti all’autorità giudiziaria, quando:

“sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio…”

Degli indici delle anomalie
Per promuovere l’attività di delazione dei professionisti, la norma dà degli esempi concreti in cui essi devono considerare l’attività dei loro clienti come sospetta. All’unità informazione finanziaria (UIF) e alla Banca d’Italia, è stata data la potestà di integrare la norma, che recepisce la normativa comunitaria, emettendo i cosiddetti indici delle anomalie, ossia, elencando una serie di criteri – una serie volutamente mai esaustiva, perché in essa possono esserne continuamente aggiunti di nuovi e di ulteriori – che facciano considerare l’operazione, o l’attitudine generale di un cliente, meritevole di attenzione, monitoraggio, osservazione e sospetto.

Del DM 16 aprile 2010, pubblicato su G.U. n. 101 del 3 maggio 2010
Un elenco speciale d’indicatori di anomalie indirizzato agli avvocati e ai professionisti è ripreso poi nel DM 16 aprile 2010 pubblicato sulla G.U. n. 101 del 3 maggio 2010. Ma gli elenchi servono solo ad agevolare l’attività di delazione dei professionisti e non a definire con precisione quali casi vanno segnalati e quali, essendo esclusi, non vanno segnalati. Infatti, al punto 3 dell’articolo 3 del suddetto decreto, si specifica: “L’elencazione degli indicatori di anomalia non è esaustiva anche in considerazione della continua evoluzione…” e quindi, se un comportamento non è compreso nell’elenco delle anomalie, non significa affatto che quel comportamento, quell’operazione, non sia da segnalare come sospetta.

Della riservatezza dei delatori
Al punto 6 dell’allegato al DM del 16 aprile 2010, si ribadisce l’obbligo dei delatori di mantenere il più assoluto silenzio e di non dire ai propri clienti che li hanno spifferati. Il titolo è ingannevole – “la tutela della riservatezza” – e fa sembrare che ci sia qualche riferimento alla tutela della riservatezza dei dati del cliente; e invece significa che il delatore ha obbligo di tacere al suo cliente circa le sue soffiate all’autorità giudiziaria, come è previsto del resto anche dallo stesso DLgs. 231 del 2007, all’articolo Art. 46 “Divieto di comunicazione”. La violazione del divieto di comunicazione è sanzionata penalmente, cioè, se un avvocato delatore avvisa il suo cliente che gli ha fatto la spia, è soggetto a procedimento penale.

Del pensiero di Cesare Beccaria sull’utilizzo degli infami
“Alcuni tribunali offrono l’impunità a quel complice di grave delitto che paleserà i suoi compagni. Un tale spediente ha i suoi inconvenienti e i suoi vantaggi. Gl’inconvenienti sono che la nazione autorizza il tradimento, detestabile ancora fra gli scellerati, perché sono meno fatali ad una nazione i delitti di coraggio che quegli di viltà: perché il primo non è frequente, perché non aspetta che una forza benefica e direttrice che lo faccia conspirare al ben pubblico, e la seconda è piú comune e contagiosa, e sempre piú si concentra in se stessa. Di piú, il tribunale fa vedere la propria incertezza, la debolezza della legge, che implora l’aiuto di chi l’offende. I vantaggi sono il prevenire delitti importanti, e che essendone palesi gli effetti ed occulti gli autori intimoriscono il popolo………..e perciò rari non sono coloro che non hanno di una nazione altra idea che di una macchina complicata, di cui il piú destro e il piú potente ne muovono a lor talento gli ordigni; freddi ed insensibili a tutto ciò che forma la delizia delle anime tenere e sublimi, eccitano con imperturbabile sagacità i sentimenti piú cari e le passioni piú violente, sí tosto che le veggono utili al loro fine, tasteggiando gli animi, come i musici gli stromenti.“

Dell’interpretazione “autentica” della norma
Durante il tragico convegno del 6 ottobre 2011, gestito dal consiglio dell’ordine degli Avvocati di Modena, i relatori invitano il nuovo comandante del nucleo di Modena della GdF per far dare agli sventurati professionisti presenti, direttamente, l’interpretazione “autentica” della norma; cioè, Avvocati, Avvocati di lungo corso, donne e uomini “di legge”, invitano a tenere, per loro stessi medesimi, una lezione di diritto su un argomento specifico del diritto un ufficiale della guardia di finanza. Anziché invitare qualche eminente giurista, che si distingue per le sue eccellenti competenze tecniche e per la sua indiscussa moralità, o per l’assoluto prestigio del suo ateneo, o un magistrato, un pretore, un giudice di pace, un pubblico ministero, un legista, evocano “l’interpretazione autentica della norma” un ufficiale di polizia giudiziaria, la cui funzione, direttamente gestita, coordinata e moderata da qualche magistrato inquirente, dovrebbe essere eminentemente repressiva. E, se è così, visto che il “poliziotto” della polizia amministrativa collabora con l’autorità inquirente, si può immaginare che egli rappresenti indirettamente, e lontanamente, l’autorità giudiziaria; ma certamente non ha fra le sue competenze, né fra le sue attitudini, quella di dare lezioni di diritto a degli avvocati professionisti, circa “l’interpretazione autentica” della legge, che, l’avvocato Zironi (l’avvocato che non vorrei mai fosse mio avvocato), prono, gli attribuisce. Volendo scegliere anche una figura antagonista a quella dell’Avvocato, taluni lo fanno per dare al convegno lo spunto per qualche piccante polemica costruttiva, l’oppositore di pari dignità per l’avvocato può essere un pubblico ministero, un magistrato, non un funzionario di polizia giudiziaria, e non importa se ha studiato qualche rudimento di diritto amministrativo, fra una marcia e un aperitivo, nell’accademia della “guardia di finanzia”, come egli stesso la pronunzia. Tuttavia, per nulla a disagio nella sua nuova veste di consulente per avvocati delatori, bisogna ammettere che è meno vago rispetto agli altri relatori e dà qualche esempio pratico di come la norma serva – con o senza malizia – scopi repressivi diversi rispetto a quelli enunciati nel suo titolo esplicito, focalizzati sui feticci di terrorismo e criminalità organizzata. La sua prima osservazione riguarda il suggerimento dell’avvocato Zironi, che vorrebbe farsi firmare dai propri clienti l’autorizzazione a far loro la spia, inserendo un trafiletto fra le tante righe della normativa cosiddetta della privacy, perché tanto – “nessuno la legge” – come dice egli stesso. Il suo consulente spiega che è meglio non procedere con questo stratagemma surrettizio; non perché sia un trucco volgarissimo ed immorale, ma perché, non si sa mai che qualcuno la legga, potrebbe far sorgere il dubbio, nel cliente, che il suo avvocato voglia spifferare i fatti suoi all’autorità giudiziaria. Implicitamente, perciò, la richiesta di far firmare al cliente l’autorizzazione a trattare i suoi dati personali – e a fargli la spia – potrebbe costituire una implicita violazione del divieto di comunicazione della delazione al cliente; perché è vietato al professionista di far sapere al suo cliente che il suo patrocinante gli ha fatto la spia.

Che succede al malcapitato che viene segnalato?
La segnalazione comporta due fasi conseguenti: si ha l’analisi finanziaria dell’operazione, posta in essere dalla UIF (unità d’informazione finanziaria); poi, segue un’analisi “pre-investigativa” compiuta dal nucleo speciale di polizia valutaria o dalla DIA.

Dell’analisi dell’UIF
Si studiano i flussi finanziari della vittima, si sommano ai dati degli intermediari e degli organismi di vigilanza, si scambiano con i dati delle UIF di altri paesi, con le informazioni avute dagli ordini professionali, con le notizie di reato dell’autorità giudiziaria, o della polizia; può succedere che la UIF decida di non approfondire la segnalazione e allora l’archivia (e la tiene in archivio almeno dieci anni; quindi ci può sempre ripensare e può sempre riutilizzare la segnalazione a danno delle vittime che vengono segnalate anche negli anni a venire). Se non archivia, trasmette direttamente alla DIA e al nucleo speciale di polizia valutaria.

Delle potestà d’indagine
Quelle riconosciute alla GdF sono previste e sono state ribadite proprio dal famigerato 231: articoli 8,9 e 45. L’articolo 8 prevede che i nuclei di polizia valutaria e la DIA si avvalgano dei contenuti dell’archivio dei rapporti finanziari. I piedipiatti possono snellire in maniera notevole la vecchia prassi di accertamento ed evitare di chiedere il mandato dell’autorità giudiziaria per poter violare i diritti civili e costituzionali delle loro vittime; gli accertamenti bancari si possono fare “prontamente” a video. Gli ispettori della GdF possono fare esercizi, per imparare a leggere, scrivere e far di conto, su tutti gli istituti bancari. Gli appartenenti al “nucleo” possono anche utilizzare i poteri previsti in materia valutaria – DPR 148 del 1988 – che consentono di effettuare ispezioni presso le aziende e gli istituti di credito, di chiedere libri e registri contabili, di corrispondenza, di estrarne copia e di assumerne in atti i fatti utili alle indagini. Anche la normativa tributaria attribuisce poteri incisivi ai “vigili in grigio”, gli articoli 51 e 52, il 31, 32 e 33 del DPR 600; sono i poteri di accesso, ispezione e verifica; quando vengono a fare una perquisizione anti-riciclaggio, come metodologia, non c’è differenza fra una verifica fiscale e un’ispezione anti-riciclaggio, per dirla con le parole dell’invitato gradito ospite in grigio, “entriamo negli studi e facciamo attività di ricerca.” Il Decreto Legislativo 68 del 2001 riconosce al corpo dei “vigili in grigio” compiti specifici anche nel settore valutario.

Delle ulteriori spiate dei delatori “anonimi”
Art. 45. UIF e GdF possono richiedere al delatore che ha effettuato la segnalazione, ai professionisti, avvocati pusillanimi e ai commercialisti pavidi – o ai loro Ordini Professionali – ulteriori informazioni ai fini dell’investigazione. Quindi gli agenti della GdF possono richiedere, e pretendere, di farsi dare le informazioni sia direttamente dagli avvocati e dai commercialisti sui loro clienti che dai loro rispettivi Ordini Professionali, ciò, ovviamente, salvaguardando l’anonimato della spia. La cosiddetta (pretesa e imposta) riservatezza del segnalante, cioè, la copertura dell’identità del delatore, è il principio normativo che induce l’avvocato e il commercialista ad operare, esattamente, alla stessa stregua di un agente sotto copertura e che, pertanto, li autorizza a compiere delitti e ad istigare o favoreggiare altri a commettere delitti. L’identità dell’informatore, lo dice chiaro l’articolo 45, non deve essere menzionata, nemmeno in caso di denuncia o di rapporto. Solo se l’autorità giudiziaria richiede, specificamente, con un atto motivato, di conoscere l’identità della spia, si può superare questo divieto posto dal decreto. Gli organi operanti, a parte queste rarissime eccezioni, devono evitare in qualsiasi modo di rivelare i nomi dei traditori e gli avvocati relatori; e tanto pare soddisfare almeno i relatori del convegno.

Dei problemi di coscienza degli avvocati presenti al triste convegno modenese
Durante tutto il tempo di questo drammatico incontro, inscritto fra i corsi di deontologia professionale, completamente incuranti del diritto e del più basilare principio di dovere deontologico che vengono calpestati, essi si preoccupano esclusivamente di tre problematiche:

1) “come devo fare per adeguare le mie operazioni alle nuove disposizioni sull’obbligo di registrare, spiare, monitorare e di tradire i miei clienti? “

2) “Come posso essere sicuro che non incorro in sanzioni penali per aver omesso una soffiata?”

3) “Che garanzie ho di mantenere l’anonimato dopo aver tradito il codice deontologico e aver fatto la spia ai miei stessi clienti?”

I “vigili in grigio”, una volta che ricevono una segnalazione, fanno un’analisi “pre-investigativa” – che vorrà dire? Ha tutte le caratteristiche di un’investigazione, di un’indagine, a che serve contraddire i termini? Può un’indagine essere pre-investigativa o post-investigativa? In poche parole, la procedura vuole che la segnalazione venga anzitutto inserita in un sistema informativo valutario, cioè, stoccata in un “data-base”; la carta non gira più, gli investigatori poco dirozzati preferiscono fare auto-istruzione con il computer. Il fascicolo delle vittime è un fascicolo telematico. Il nucleo fa poi una valutazione iniziale, e controlla:

– le somme che la vittima movimenta,
– se fa uso di contanti e di quanti,
– la tipologia e le modalità delle transazioni,
– i rapporti con gli indicatori d’anomalie,
– controlla i dati dell’anagrafe tributaria, varie banche dati dell’erario e delle forze di polizia, precedenti specifici, analisi dei rapporti che si trovano sulla rete internet e chissà quant’altro.

Della seconda fase, contraddittoriamente cosiddetta di “ingelligence“
La seconda fase dell’indagine, la cosiddetta attività di “intelligence” – che è un termine improprio e assolutamente contraddittorio rispetto ai soggetti che compiono l’indagine – a livello territoriale; gli agenti incaricati trovano il fascicolo nei loro archivi SIVA, lo stampano tutto e iniziano la loro azione repressiva, fatta di osservazione, pedinamenti, perquisizioni, rilevamenti anagrafici di fatto (cioè, mandano fuori la pattuglia per verificare il nucleo familiare, per vedere, fra parenti e affini, chi sono i presta-nomi e intestatari fittizi), il tenore di vita, le disponibilità patrimoniali e l’indagine sull’attività economica dell’indagato – è un soggetto titolare di partita IVA? Che tipo di attività esercita? Ha partecipazioni in società? – e poi si fa una scheda di sintesi, come alla scuola teorica per prendere la patente. C’è un quiz con quattro caselline che identificano in scala i livelli di rischio presentati dalle vittime dell’attività spionistica e repressiva.

Dei profili di rischio

Al livello B1, che è la terza casellina in ordine d’importanza, troviamo quelle segnalazioni che

 “NON SONO DA APPROFONDIRE PER LE ATTIVITÀ DI ANTI-RICICLAGGIO, MA INTERESSANTI PER FINALITÀ ISTITUZIONALI”.

Ed ecco la confessione palese degli inquisitori: – schediamo tutti con il pretesto del riciclaggio e del terrorismo, ma poi utilizziamo i dati anche per altri fini – con ciò tradendo lo scopo iniziale del legista dispotico: cioè quello di usare a pretesto una crisi per mettere in riga i suoi schiavi sottoposti, soddisfare le esigenze di oppressione indicate di sopra, attraverso il controllo dei capitali, l’esproprio forzoso, l’imposizione di norme liberticide, l’oppressione fiscale. Le segnalazioni per operazioni “sospette” rappresentano degli spunti per le attività investigative in altri settori; anzi, “sono proprio le segnalazioni per operazioni sospette che rappresentano forse una delle fonti principali per l’innesco di verifiche d’altro tipo e di ACCERTAMENTI FISCALI.” Perché, mentre, in precedenza, l’indagine verificava la possibile violazione e poi provava a vedere dove si trovavano “i soldi”, ora, con le segnalazioni sospette, il percorso è diametralmente opposto: “partiamo dai soldi, dai movimenti di denaro, e andiamo a cercare di capire cosa c’è dietro; il movimento di denaro c’è stato, e questa è la base di partenza per qualsiasi forma d’indagine”. L’indagine si conclude con la comunicazione all’autorità giudiziaria, qualora si rilevino condotte penalmente rilevanti; violazioni amministrative vengono gestite direttamente dal “corpo”; quando l’accertamento non determini né notizia di reato né violazioni amministrative (e quando riguarda segnalazioni che si decide di non approfondire, perché non comportano profili di rischio), vengono tenuti in evidenza e conservati per eventuali indagini successive.

Delle ispezioni fatte con il pretesto fantoccio dell’anti-riciclaggio
Le ispezioni, cioè le perquisizioni, sono forme di controllo che possono avere per oggetto gli uffici e le botteghe di Avvocati e commercialisti. Sono svolte dal nucleo di polizia valutaria o dai nuclei di polizia tributaria, non sono fatte dai gruppi e dalle compagnie, cioè le componenti territoriali, ma solo dalla componente specialistica; quindi, il maresciallo del paese che è solito venire a fottersi le magliette in magazzino non può perquisire la bottega dell’Avvocato. Possono essere perquisiti Money transfers, case da gioco, professionisti; nel caso del professionista, “i vigili in grigio” iniziano facendo i cosiddetti controlli preliminari; e verificano:

– iscrizione all’albo,
– la struttura organizzativa e commerciale della bottega,
– il sistema delle deleghe interne, chi è delegato ad adempiere alle formalità obbligatorie previste dal 231, le procedure interne, i manuali interni, i controlli interni, se c’è un sistema di controllo interno che consente di assicurare che gli obblighi del 231 siano stati correttamente adempiuti;
– archivio unico dei clienti dell’Avvocato e del commercialista: la numerazione progressiva delle registrazioni, le pagine ordinate, senza abrasioni e senza spazi bianchi, gli altri aspetti formali;
– l’adeguata verifica della clientela la fanno con: la stampa dell’anagrafica dei clienti, la data di conferimento dell’incarico, i fascicoli dei clienti;
– i clienti scelti per approfondimenti sono prima quelli che ricorrono più spesso nei fascicoli del professionista, in virtù dell’adeguata verifica, poi i soggetti non residenti, quelli non operanti nella zona in cui ha residenza il professionista, soprattutto i clienti provenienti dalla Calabria, dalla Campania, dalla Sicilia e dalla Puglia, clienti che hanno operazioni con importi rilevanti, clienti che usano spesso i contanti, clienti che effettuano conferimenti di capitali in società o enti con beni in natura per importi sproporzionati rispetto alle medie di mercato, clienti che fanno operazioni di finanza strutturata, anche a livello transnazionale, clienti con precedenti specifici, clienti che fanno operazioni rilevanti ma che non sono nullatenenti o non titolari di partita IVA; una particolare attenzione viene data – dagli agenti della guardia di finanza – viene poi data alle attività di consulenza, organizzazione e gestione delle società fiduciarie e dei Trust. La campionatura di clienti da studiare, che pure non sono segnalati ma vengono presi direttamente dall’archivio del commercialista o dell’Avvocato, comprende, molto probabilmente, quei clienti che: svolgono operazioni finanziarie, compravendita d’immobili, operazioni riconducibili a Trust, fiduciarie o enti no-profit, operazioni fatte con paesi privi della stessa disciplina dissennata anti-riciclaggio prevista dal “nostro” ordinamento, oppure paesi offshore, rifugi fiscali e altre nazioni prese di mira.

Della verifica del comportamento omertoso della spia
Un’altra verifica importantissima – che fa la guardia di finanza quando procede ad un’ispezione presso lo studio dell’Avvocato e del commercialista – è il rispetto dell’obbligo della cosiddetta “riservatezza delle segnalazioni”. Bisogna verificare che il professionista non abbia fatto sapere in nessuna maniera al suo cliente che lo ha schedato, che ha monitorato tutta la sua attività e che il suo fascicolo è stato segnalato all’autorità giudiziaria oppure è stato preso a campione dagli agenti della GdF, durante un’ispezione anti-riciclaggio. “Andiamo a controllare che, effettivamente, il soggetto che è stato oggetto della spiata, non abbia avuto contezza” della dell’atto delatorio del professionista al quale ha dato mandato e fiducia. “Si va a vedere nel fascicolo e si vede se ci sono comunicazioni in tal senso, o altri atti dai quali si possa desumere che il soggetto possa aver avuto contezza” o aver intuito che è stato messo sotto sorveglianza dal suo stesso Avvocato difensore.

Dell’addestramento dei confidenti di questura nello studio legale illegale
La formazione del personale, tutto il personale che lavora presso lo studio legale dell’Avvocato e nello studio del commercialista, deve essere integrata da corsi specifici di tradimento, delazione, cantata, spifferata, spiata, denuncia, rivelazione. L’articolo 54 del 231 prevede una sanzione specifica nel caso in cui non siano stati fatti corsi, con carattere continuativo e sistematico, in capo al professionista. La sanzione va da un minimo di 10 mila a un massimo di 200 mila EURO; quindi, “fate i corsi di delazione anche ai vostri collaboratori, perché è una materia che ha la massima attenzione degli organi investigativi, nel futuro…” ci baseremo solo sulla minaccia perpetua fatta al professionista per costringerlo a comportamenti delatori con chi indaga e omertosi con chi è indagato. La violazione del codice penale e di tutti i codici deontologici forensi viene quindi istigata anche nei confronti di avvocati praticanti, collaboratori, dipendenti, segretarie e tutti quegli altri soggetti che, a norma di legge, sono obbligati – sia in Italia che in Europa – a fare esattamente il contrario di ciò che il decreto 231 li obbliga a fare.

Della sola obiezione dell’Avvocato onesto
La tragedia di questo convegno si conclude con due momenti di altissima drammaticità: 1) l’applauso della platea degli avvocati, alla fine della lezione di diritto – fatta dal funzionario di polizia amministrativa agli avvocati – sui nuovi doveri di delazione degli stessi avvocati e dei professionisti; una reazione naturale della platea di veri Avvocati avrebbe comportato una violentissima protesta, con la cacciata fisica di tutti i relatori – presidente ciarlone in testa – in luogo di un vergognosissimo applauso di sottomessa approvazione; 2) l’unica obiezione, fatta da un avvocato meno pavido del resto della platea, che sottolinea la palese, decisa, drastica violazione del codice deontologico delle azioni di delazione proposte dai relatori, alla quale si risponde con le grasse risate degli avvocati presenti, le tergiversazioni del presidente, e con la ripetizione dei dati di fatto che sono comunque imposti dalla legge.

Degli obblighi deontologici degli Avvocati
Però, chi ha seguito il ragionamento fin qui non può avere la stessa vile predisposizione al tradimento, verso i propri doveri fondamentali, che dimostrano il presidente e i due avvocati delatori di quel povero convegno. L’art. 41, al primo comma, impone obblighi assolutamente illegittimi, ingiusti e vili. I soggetti della normativa (notai, avvocati commercialisti e altri professionisti) inviano alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. La portata della norma è talmente ampia e vaga che riguarda una fase persino antecedente rispetto alla formulazione del “sospetto”. Già il sospetto indica nulla di concreto rispetto al pericolo di un delitto commesso o dei rischi di un reato che sia possibile commettere; ma qual’è la fattispecie giuridica della fase che precede la formulazione del sospetto? Essi devono segnalare, non solo se sospettano, anche se non sospettano, perché, pur non sospettando, hanno (potrebbero avere, secondo l’opinione d’altri soggetti incaricati di reprimere) motivi ragionevoli per sospettare. E come fanno a sapere se hanno motivi per sospettare, visto che non sospettano? È evidente che, con queste espressioni delle direttive europee, i professionisti sono sottoposti all’obbligo di collaborazione totale con gli incaricati della repressione e devono trattare tutti i loro clienti come “sospetti”; infatti, anche qualora essi non sospettino di loro, potrebbero comunque avere “motivi ragionevoli per sospettare” i quali, ovviamente, sono valutati non da loro ma dai loro stessi oppressori. Non dimentichiamo, prima di andare a vedere il solo codice deontologico forense (perché poi anche i commercialisti e i notai, i banchieri e gli allibratori dovranno averne di propri), che questo atteggiamento, questa disposizione mentale nei confronti del cliente, deve essere tenuto anche da altri soggetti, e precisamente da tutti i soggetti indicati negli articoli 10 (comma 2), 11, 12, 13 e 14; e fra essi troviamo le banche, gli intermediari di scommesse finanziarie, le finanziarie, i revisori contabili, le CAF, tutte le associazioni d’impresa, Poste italiane S.p.A., gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento, le società di intermediazione mobiliare (SIM), le società di gestione del risparmio (SGR), le società di investimento a capitale variabile (SICAV), le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all’articolo 2, comma 1, del CAP, gli agenti di cambio, le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi, e tutti gli altri del lunghissimo elenco. Il controllo dei capitali e delle attività commerciali di chiunque, a qualsiasi titolo, è totale.

Dei doveri dell’Avvocato

1) Art. 622 del codice penale
Quando un vero Avvocato dà, o viene chiamato a dare, informazioni su fatti conosciuti in dipendenza del suo mandato, egli commette un delitto. Questo vale per qualsiasi fatto, diretto o indiretto, occasionale, correlato o non correlato con i fatti oggetto del mandato. Qualunque sia l’informazione, rilevante o non rilevante, per il solo fatto che l’Avvocato ne venga a conoscenza, ha il dovere di mantenere il segreto professionale.

L’art. 622, sulla “Rivelazione di segreto professionale”, recita:

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da… a.

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336].

2) Art. 200 del codice di procedura penale

Il codice di procedura penale trasferisce sull’Avvocato l’onere dell’iniziativa; se non obietti il segreto la testimonianza è valida. C’è una traslazione del rischio. In caso di disattenzione, l’Avvocato potrebbe commettere il delitto ex art. 622 cp, non opponendo il segreto professionale. E dovrebbe essere denunciato dal suo assistito. L’Avvocato ha il DOVERE di opporre il segreto professionale; tuttavia il giudice potrebbe obbligarlo a testimoniare ai sensi dell’art. 200 cpp. C’è quindi una asimmetria fra il codice penale e il codice di procedura penale.

3) Dell’oggetto del segreto professionale

Il codice deontologico forense, prevede 3 articoli sui doveri di segretezza e riservatezza, e precisamente:

l’art. 9: DOVERE di SEGRETEZZA e RISERVATEZZA; è dovere oltre che diritto primario e fondamentale dell’Avvocato mantenere il segreto sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.

L’art. 58, sulla TESTIMONIANZA DELL’AVVOCATO: Per quanto possibile, l’avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto.

I. L’avvocato non deve mai impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio.

II. Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone dovrà rinunciare al mandato e non potrà riassumerlo.

Art. 2.3 CODICE DI DEONTOLOGIA DEGLI AVVOCATI EUROPEI

2.3.1. È nella natura stessa della funzione dell’avvocato che egli sia depositario dei segreti del suo cliente e destinatario di comunicazioni riservate. Senza la garanzia della riservatezza, non può esservi fiducia. Il segreto professionale è dunque riconosciuto come un diritto e un dovere fondamentale e primario dell’avvocato.

L’obbligo dell’avvocato di rispettare il segreto professionale è volto a tutelare sia gli interessi dell’amministrazione della giustizia che quelli del cliente. È per questo che esso gode di una speciale protezione da parte dello Stato

2.3.2. L’avvocato deve mantenere il segreto su tutte le informazioni riservate di cui venga a conoscenza nell’ambito della sua attività professionale.

2.3.3. Tale obbligo di riservatezza non ha limiti di tempo.

2.3.4. L’avvocato deve esigere il rispetto del segreto professionale dai suoi dipendenti e da chiunque collabori con lui nell’esercizio della sua attività professionale.

Questo squallido decreto 231/2007, sfrontatamente incompatibile con tutti i codici deontologici forensi e con la più basilare nozione del diritto, soddisfa le esigenze dell’oppressione fiscale, del controllo dei capitali e predispone l’addentellato per la confisca diretta. Il povero Cesare Beccaria, fremente di sdegno dalla sua tomba, vi ricorda, a proposito delle spiate degli informatori segreti:

ACCUSE SEGRETE
(Dei delitti e delle pene – Cesare Beccaria)

Evidenti, ma consagrati disordini, e in molte nazioni resi necessari per la debolezza della constituzione, sono le accuse segrete. Un tal costume rende gli uomini falsi e coperti. Chiunque può sospettare di vedere in altrui un delatore, vi vede un inimico. Gli uomini allora si avvezzano a mascherare i propri sentimenti, e, coll’uso di nascondergli altrui, arrivano finalmente a nascondergli a loro medesimi. Infelici gli uomini quando son giunti a questo segno: senza principii chiari ed immobili che gli guidino, errano smarriti e fluttuanti nel vasto mare delle opinioni, sempre occupati a salvarsi dai mostri che gli minacciano; passano il momento presente sempre amareggiato dalla incertezza del futuro; privi dei durevoli piaceri della tranquillità e sicurezza, appena alcuni pochi di essi sparsi qua e là nella trista loro vita, con fretta e con disordine divorati, gli consolano d’esser vissuti. E di questi uomini faremo noi gl’intrepidi soldati difensori della patria o del trono? E tra questi troveremo gl’incorrotti magistrati che con libera e patriottica eloquenza sostengano e sviluppino i veri interessi del sovrano, che portino al trono coi tributi l’amore e le benedizioni di tutti i ceti d’uomini, e da questo rendano ai palagi ed alle capanne la pace, la sicurezza e l’industriosa speranza di migliorare la sorte, utile fermento e vita degli stati? Chi può difendersi dalla calunnia quand’ella è armata dal piú forte scudo della tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quella ove chi regge sospetta in ogni suo suddito un nemico ed è costretto per il pubblico riposo di toglierlo a ciascuno?

   

Quali sono i motivi con cui si giustificano le accuse e le pene segrete? La salute pubblica, la sicurezza e il mantenimento della forma di governo? Ma quale strana costituzione, dove chi ha per sé la forza, e l’opinione piú efficace di essa, teme d’ogni cittadino? L’indennità dell’accusatore? Le leggi dunque non lo difendono abbastanza. E vi saranno dei sudditi piú forti del sovrano! L’infamia del delatore? Dunque si autorizza la calunnia segreta e si punisce la pubblica! La natura del delitto? Se le azioni indifferenti, se anche le utili al pubblico si chiamano delitti, le accuse e i giudizi non sono mai abbastanza segreti. Vi possono essere delitti, cioè pubbliche offese, e che nel medesimo tempo non sia interesse di tutti la pubblicità dell’esempio, cioè quella del giudizio? Io rispetto ogni governo, e non parlo di alcuno in particolare; tale è qualche volta la natura delle circostanze che può credersi l’estrema rovina il togliere un male allora quando ei sia inerente al sistema di una nazione; ma se avessi a dettar nuove leggi, in qualche angolo abbandonato dell’universo, prima di autorizzare un tale costume, la mano mi tremerebbe, e avrei tutta la posterità dinanzi agli occhi. È già stato detto dal Signor di Montesquieu che le pubbliche accuse sono piú conformi alla repubblica, dove il pubblico bene formar dovrebbe la prima passione de’ cittadini, che nella monarchia, dove questo sentimento è debolissimo per la natura medesima del governo, dove è ottimo stabilimento il destinare de’ commissari, che in nome pubblico accusino gl’infrattori delle leggi. Ma ogni governo, e repubblicano e monarchico, deve al calunniatore dare la pena che toccherebbe all’accusato.

Del data retention Act – 2006

Della conservazione e memorizzazione delle comunicazioni digitali
Il cosiddetto “data retention Act“, del 2006 è solo il quarto esempio di legge liberticida sul quale ragioniamo brevemente in questo lavoro; si eredita dagli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea la impone agli Stati dell’unione. È un tentativo maldestro d’imporre, all’industria della comunicazione, l’obbligo di conservare le informazioni personali, di cui resta memoria digitale nei loro apparati, che si rilevano in conseguenza del flusso di comunicazioni degli individui e dei loro spostamenti. La norma scandalizza parecchi agglomerati umani ed è oggetto di molte ciarle inutili, talvolta articolate ed appassionate, trovando resistenze presso le alte Corti Costituzionali di Germania e d’Irlanda, e viene discussa presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Degli obiettivi – sempre condivisi – della norma
I soggetti che resistono verbalmente all’introduzione di questa norma, e tutti coloro che la commentano a diverso titolo, si affrettano subito a riconoscere che essa persegue degli obiettivi condivisibili e che privilegia la tutela della sicurezza; per dovere di buona creanza, essi obiettano che, pur condividendo appieno gli obiettivi di sicurezza che la norma persegue, obiettivi che ne costituiscono la premessa fondamentale, per varie quisquilie tecniche, la norma intacca, leggerissimamente, i diritti dei cittadini, e non dà loro alcuna garanzia specifica di tipo procedurale. Però noi, che abbiamo seguito il ragionamento fin qui, sappiamo che la stessa premessa della norma è un bidone. Abbiamo visto solo alcune delle tecniche adottate dai burattini alle direzioni di certi enti di stato, per creare i problemi e poi offrire le soluzioni ai problemi che essi stessi hanno fabbricato, e riconosciamo la frode già nel suo stile e nella sua impostazione. Se la premessa della norma è falsa, il resto dell’impianto si regge sul nulla, è quindi privo di valore formale e sostanziale, e dovrebbe essere considerato invalido da chi fa e da chi interpreta le leggi.

Delle quisquilie tecniche
E però, ciò che si propone da tutte le parti è una revisione, una riscrittura del testo normativo, in modo da integrarlo con qualche cavillo tecnico-procedurale che possa essere fatto passare per elemento di garanzia a tutela dei cittadini spiati. La discussione prosegue, tenendo impegnate menti brillanti e tecnici competenti, sia del diritto che della comunicazione, e pare che ciò possa determinare un ritardo nella sua esecuzione, con conseguente rinvio materiale dei suoi effetti repressivi. Non c’è fretta, possiamo respirare liberi e felici ancora per un altra scaglia di tempo, speriamo spessa. Non c’è fretta neppure per gli aguzzini, e ciò per due buone ragioni:

a) il magazzino dei dati delle comunicazioni digitali dei cittadini – e quello di tutti i loro spostamenti – è già disponibile da almeno 15 anni e, volendo spiare qualcuno, non c’è proprio bisogno di nessun aggiornamento normativo;

b) il carattere sistematico della norma crea solo più lavoro per gli analisti, perché costringe gli spioni all’analisi costante e metodica, di una mole di dati gigantesca, anziché scegliere le loro vittime con il criterio nominativo, quando non seguono progetti di campionatura a casaccio.

Del sovrano non più responsabile
La commedia della contrapposizione tra destra e sinistra, tra repubblicani e democratici, tra conservatori e progressisti, eccetera, è un’invenzione che serve ai sovrani per lo scarico di responsabilità. In quello che Cossiga chiamava il “gioco democratico“, i gruppi di politici e giornalisti sembrano contrapposti in schieramenti e si dibattono in interminabili discussioni che accendono l’opinione pubblica, tenendo tutti impegnati sui falsi bersagli dell’attenzione mal diretta; contemporaneamente, ciò che il sovrano invisibile vuole fare, fa; e, se per conseguenza dell’atto del sovrano, qualcuno si fa male, o si suicida in carcere, o perde il lavoro, e la casa, o viene mandato alla guerra, o si accorge di essere spiato dagli aguzzini dei servizi segreti, o viene perquisito e vessato dagli oppressori della polizia fiscale, la responsabilità non è del sovrano; il sovrano non c’è; il sovrano è invisibile; la colpa dei suoi crimini ricade sui burattini, i pagliacci, gli incompetenti, grassi, sudati, unti, corrotti, disonesti, e, possibilmente, su quelli di controparte. Lo scarico di responsabilità è un fatto molto interessante. Perché, oltre a tenere schermata l’identità dei responsabili delle crisi petrolifere, delle guerre e dei genocidi, delle politiche deflative, delle frodi finanziarie internazionali, oltre a puntare sistematicamente su capri espiatori (da punire e sostituire con altri burattini, che riprenderanno il filo esattamente dal punto nel quale essi cadono), lo scarico di responsabilità ricade, in ultima analisi, sui cittadini. “Avete voluto votare tizio? Quello che è successo lo avete voluto voi.” – Oppure: – “ogni popolo ha la classe politica che si merita”. In fondo, se vi piace il “gioco democratico”, se andate a votare, sarà pure vostra una fetta di responsabilità di ciò che accade per conseguenza dei vostri voti. Ma, ciò che accade, non è conseguenza delle discussioni in parlamento, dei dibattiti televisivi, dei sondaggi e delle altre buffonate; perciò, non è nemmeno conseguenza del voto. Quale altro vantaggio politico avrebbero, i grandi capitalisti anglo-americani, a finanziare e promuovere i governi democratici in Europa e negli Stati Uniti, e quelli comunisti in Cina, Vietnam, Corea e in Russia, dopo aver sterminato le famiglie di tutti i precedenti sovrani di quegli Stati? Perché dovrebbero destituire zar, imperatori e re, e installare al loro posto delle repubbliche? Per un sincero amore di libertà, fraternità e uguaglianza? È poco credibile, perché non c’è nessun indizio che possa far pensare che quelle dinastie, considerando l’approccio che tengono verso l’umanità negli ultimi tre secoli, si considerino “uguali” agli umani del resto del mondo, che mandano alla fame e al genocidio proprio dietro il vessillo dell’uguaglianza, della libertà e della democrazia.

Le norme liberticide che consentono alle varie forze di repressione di spiare senza mandato dell’autorità giudiziaria possono essere discusse, modificate, rimandate, specificate, emendate, e persino cassate o abrogate. Non cambia nulla dal lato pratico, perché esistono meccanismi tali – e altre norme generiche e vaghissime, dalle quali si può cavare indiretta legittimità – da consentire di spiare molto più prepotentemente e intensamente di quanto la singola normativa sul “data retention” sia ordinata a proporre. Fino a che dura la discussione nelle varie sedi in cui si parla, tutti possono mantenere l’illusione che il cosiddetto “grande fratello” sia inibito dal monitorare tutti gli spostamenti, tutta la corrispondenza e tutte le comunicazioni di tutti gli individui del pianeta.

Published by economia, finanza e fisco

Come si gestisce l'impresa che sopravviva nel nostro sistema economico-giuridico? Cos'è il sistema economico e come funziona? Come funziona l'impianto giuridico-economico in Italia, in Europa e nel resto del mondo? Cosa studiano e a cosa servono gli economisti? Cosa studiano e a che servono gli insegnanti di economia politica? Come si controllano il sistema economico, i processi di produzione e consumo, di tutte le categorie di aziende? Come continuare ad ignorare il problema monetario, e il problema dell'alienazione del monopolio della sovranità monetaria, nonostante il tema sia stato oramai ampiamente descritto, spiegato, e le spiegazioni distribuite?

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